Ci sono professioni che da tempo sono divenute obsolete e che rimangono in auge solo perché godono di una forte protezione legale. L’attività notarile è una di queste attività. La tecnologia però non minaccia mai davvero questo tipo di professioni, anche se sulla carta sembrerebbe proprio così. Il sistema dei blocchi algoritmici promossa dalla tecnologia blockchain, ad esempio, consentirebbe già a partire da domani mattina di sostituire i notai. Detto diversamente, non abbiamo più bisogno che qualcuno ci dica che l’immobile che abbiamo appena acquistato è di nostra proprietà… (e forse non ce n’è mai stato davvero bisogno). Eppure, questi retaggi ottocenteschi rimangono attuali grazie alla forte pressione politica che le notarili corporazioni riescono ad esercitare. Chi si deve davvero preoccupare delle nuove tecnologie sono invece i lavoratori comuni, i piccoli artigiani, gli autisti, ma se ciò avviene non è solo colpa dello sviluppo delle applicazioni informatiche.
La deregulation del mondo del lavoro magicamente si sposa con questo nuovo sviluppo tech e sta facendo la parte del leone. Il caso più eclatante (e pericoloso) viene dalla multinazionale Uber, ma non per il settore del trasporto urbano in stile taxi, come ci è stato fatto credere finora. L’azienda californiana fornisce un servizio di trasporto automobilistico privato attraverso un’applicazione mobile che consente di mettere in collegamento diretto passeggeri ed autisti. Ciò, come è noto, ha scatenato una ridda interminabile di cause legali e scioperi paralizzanti nelle maggiori città del mondo. Chi appoggia Uber in questa battaglia sostiene che i taxi operano in regime di monopolio e che, dunque, bloccarne lo sviluppo significa fermare il libero mercato. Si, insomma, trattandosi di lavoro non dipendente, la questione sollevate da Uber non consente di schierarsi in modo cristallino da una parte o dall’altra. Da un lato, i taxisti rispettano più regole, hanno pagato delle licenze ed hanno investito; dall’altra però operano in condizioni di monopolio con licenze garantite in modo pre-ordinato, fisso e limitato nel numero.
Niente di diverso dai notai, dunque. In America, dove Uber esiste da anni, si sono registrati centinaia di suicidi di taxisti. A quanto pare non pare esserci soluzione win-win, e non resta che sperare che nel resto del mondo il passaggio alla nuova app avvenga attraverso una normativa lungimirante, in grado di consentire pensionamenti e riconversioni nel settore del trasporto urbano privato. Ma da qualche tempo c’è una novità che riguarda tutti, e non solo chi gode di un qualche piccolo monopolio, come i taxisti. Sto parlando di una consistente modifica dell’applicazione Uber che consentirà di incrociare direttamente l’offerta di servizi con la domanda degli stessi in tutti i settori del lavoro. In altri termini, a brevissimo sarà possibile chiedere un Uber anche per idraulico, caldaista, elettricista, posatore, traslocatori e, persino, operai generici. Lentamente scompariranno tutti gli intermediari, ma con ciò si intende anche i sindacalisti che fanno il contratto collettivo nazionale per le categorie dei lavoratori, le confederazioni dei datori di lavoro ed i legislatori pubblici.
A qualcuno questa cosa piacerà molto perché (forse) si abbasseranno i prezzi di alcuni servizi, ma gli intermediari non esistevano nemmeno durante la prima rivoluzione industriale, quando i lavoratori di qualsivoglia categoria lavoravano 14 ore al giorno senza alcuna garanzia in termini di ferie, malattia, previdenza sociale e aumenti salariali. Più che un progresso, questa nuova veste di Uber mi ricorda l’età del vapore che quella dell’high tech e se non dovrà esserci più, in futuro, la tutela giuridica del lavoro, non vedo proprio perchè dovrà esserci quella delle proprietà privata.
(Massimo Bordin, Uber entra in tutto il mercato del lavoro. I passaggi in auto erano solo una scusa”, da “Micidial” del 20 ottobre 2019).